
In questi ultimi giorni siamo sommersi dalle notizie della vicenda Fastweb e di 2,5 miliardi di euro “scomparsi” nelle tasche di qualche “bravo” imprenditore.
Ne vorrei parlare attraverso le osservazioni che ho letto sul libro di Luciano Gallino “La scomparsa dell’Italia industriale” che mi aveva consigliato Mauro.
Di cosa parla il libro in oggetto? Parla del declino industriale dell’Italia dall’inizio del secolo scorso ai giorni odierni. Della scomparsa (o quasi) delle industrie dell’informatica, aeronautica, chimica, telefonica (elettronica di consumo), high tech (tecnologia elettromeccanica all’avanguardia) e della lenta ma inesorabile scomparsa anche dell’automobile.
Per quali motivi? Per motivi simili che si notano nel caso della Fastweb: un’imprenditoria che non pensa al cliente e al prodotto da offrire ma solo ad arricchirsi personalmente. Ma non solo l’imprenditoria, in molti casi è stato proprio lo stato a distruggere alcuni rami dell’industria o a dare una buona mano nel farlo, con scelte politiche sbagliate o appositamente ritardate.
Inoltre, si nota in moltissimi casi anche l’assenza del vero spirito imprenditoriale a lungo termine, di una visione nelle organizzazioni che è un fattore cruciale nella sopravvivenza a lungo termine nei mercati mondiali. Solitamente si trattava solo di amministratori che provenivano dal campo della finanza e che non sapevano niente dell’industria di cui stavano decidendo le sorti. Non ne capivano niente e non ne volevano neanche capire. Loro erano lì a gestire i soldi…
E succederà sempre così… Nel caso Fastweb, o in qualsiasi altro caso simile. In Italia chi regna non è un imprenditore che ne capisce del lavoro e servizio che la sua azienda offre e la vive in modo onesto e con l’intenzione di farla crescere a lungo termine, ma è un imprenditore che è più furbo a fregare lo stato o di collaborare con lo stato per ottenere un profitto veloce a breve termine (magari attraverso la corruzione per ottenere gli appalti o “affaroni”…) e poi scomparire nel nulla.
E finché questo tipo di imprenditore, o anche lo stato, permette questo ragionamento, siamo proprio a cavallo…
Quello che dovrebbe essere l’obiettivo di ogni bravo imprenditore è di far crescere onestamente la sua azienda, di accrescere nel tempo il know-how e il servizio offerto al cliente e la capacità del proprio personale. Questo, secondo il mio modesto parere, è la strada per la competitività, e non la svendita ai “partner” stranieri o, peggio ancora, l’outsourcing nei paesi del terzo mondo dove la manodopera costa poco mentre qui resta solo la gestione di “schei”…
Chi ha come obiettivo solo di gestire e raccattare i soldi, senza pensare di andare a vedere (genchi genbutsu) cosa viene offerto per i soldi che raccoglie, secondo me è destinato a fallire (o essere scoperto…), se non subito, ma a medio-lungo periodo… Ed è anche più tentato (in quanto gestisce solo quelli e non sa cosa farsene né con che servizio lì abbia ottenuti…) a fare delle malversazioni di qualunque tipo con questi soldi, come dimostrano tutti i casi citati nel libro e anche il caso della Fastweb, tanto pubblicizzato negli ultimi giorni…
In Italia manca questa cultura del buon imprenditore onesto, almeno a livelli alti, dove girano tanti soldini… Come dice Luciano nell’ultimo capitolo del libro, il numero dei brevetti (per milione di abitanti) che vengono fatti in Italia è nettamente inferiore rispetto agli altri paesi sviluppati nel mondo. Non è possibile che la nostra creatività è finita proprio così in basso… Dove sono finiti questi imprenditori?
Perché non tentiamo di risvegliare in noi questo imprenditore, quello degli anni del dopoguerra quando di soldi ne giravano pochi e l’unico modo per riuscirci sul mercato era la sua creatività a fare prodotti/servizi utili alle persone, anziché usare quella stessa creatività per fregare il prossimo? Fino a quando come amministratori di queste società saranno messi i personaggi che non hanno nulla a che vedere con i processi, con un idea industriale che gli sta dietro e che non capiscono nulla del cliente del quale dovrebbero occuparsi, anziché solo sapere come girare i soldi nelle proprie tasche o di coloro che gli hanno li piazzati?
Lo so, sto solo sognando…
PS. Per finire con una barzelletta (ma neanche tanto…): Dove è finito il “buon” imprenditore italiano? In Venezuela (o forse erano le Cayman)… 😉