Il codice del talento #2: Profonda pratica

Venerdì scorso abbiamo visto il primo articolo del Codice del talento, la mielina.

Oggi andiamo a vedere il primo dei principi per sviluppare il talento, che è la profonda pratica. Cosa vuol dire profonda pratica? Una frase di Samuel Beckett la definisce molto bene:

Try again. Fail again. Fail Better.

ossia

Prova di nuovo. Fallisci di nuovo. Fallisci meglio.

La profonda pratica in sostanza è la costruzione e isolamento (con mielina) dei nostri circuiti interni. Ma come si fa a sapere, in termini pratici, che la stiamo facendo?

Ci sono tre regole fondamentali della profonda pratica:

  1. Dividere il compito
  2. Ripeterlo
  3. Imparare a sentirlo

Dividere il compito significa fare tre azioni deliberate:

  • osservare il compito nel suo insieme, come un megacircuito
  • dividere il compito nei dettagli più piccoli possibili
  • giocare con il tempo – rallentare l’esecuzione, poi accelerarla, per capire la sua architettura interna

Osservare il compito (pratica del genchi genbutsu nel lean thinking…) nel suo insieme significa osservare e/o ascoltare la capacità desiderata come un unità singola coerente. In pratica quello che state facendo è l’assorbimento dell’immagine del compito fino a quando non riuscite a immaginare voi stessi ad eseguirlo. Imitazione del compito è fondamentale in questa fase.

Divisione in piccoli particolari vuol dire scindere il compito in azioni elementari, quello a cui siamo abituati anche nel lean thinking per studiare il lavoro e cercare di migliorarlo. L’obiettivo è sempre lo stesso: scindere un compito in piccoli pezzettini, memorizzare questi pezzettini individualmente e poi legarli insieme in gruppi progressivamente crescenti.

Rallentamento dell’esecuzione funziona per due motivi:

  • andare piano ci permette di osservare e accorgerci più intimamente degli errori che commettiamo, creando un grado più elevato di precisione ad ogni esecuzione
  • aiuta allo studente di sviluppare la percezione funzionante dell’architettura interna del compito – la forma e il ritmo del mettere assieme i circuiti interni

Gli studi psicologici (Zimmerman) dimostrano che l’apprendimento migliore avviene quando le persone osservano, giudicano e sviluppano strategie riguardo alla loro personale prestazione, ossia quando si allenano da soli. Attraverso la pratica, si sviluppa una comprensione concettuale dettagliata del compito che gli permette di controllare e adattare la loro prestazione, riparare gli errori e adattare la loro capacità alle nuove situazioni. In sostanza, pensano in piccoli pezzettini e creano dei gruppi di risposte adatti a rispondere alle determinate sollecitazioni.

Ripetere il compito. La pratica è la maestra migliore. Dal punto di vista biologico, non esiste un sostituto migliore di una attenta ripetizione. Non c’è niente di meglio o efficiente che eseguire il compito, e anche il lean thinking ce lo insegna tutti i giorni.

Vi faccio una domanda: quale è il modo migliore per diminuire il livello delle prestazioni di una superstar? La risposta è molto semplice: fate che smettano di allenarsi per un mese… Non fategli accendere quelli circuiti per così poco tempo e otterrete una diminuzione immediata della loro bravura nell’esecuzione del compito. Pensate ad esempio ai sportivi che si infortunano. Non tornano mai immediatamente al livello che avevano prima dell’infortunio, anche se raggiungono le stesse caratteristiche fisiche di prima. Ci vuole tempo, e con l’allenamento pian piano rientrano e qualche volta diventano anche più forti. Ma quell’accensione continua dei circuiti dovuta all’allenamento è ciò che fa la differenza.

Ma la pratica non deve essere qualsiasi. Deve essere profonda. Ad ogni sessione di allenamento/esercizio non dobbiamo esercitarci senza pensare e pensando solo che se ci mettiamo il tempo in allenamento otterremo dei risultati. No. Dobbiamo consapevolmente portarci al limite delle nostre capacità e cercare di accendere quei circuitini ancora spenti. Dobbiamo sempre giocare al limite delle nostre capacità attuali per poter migliorare. Lo stesso succede anche nelle aziende con il miglioramento continuo. Dobbiamo continuamente fissare uno stato futuro che è al di là delle nostre capacità attuali, proporci una sfida, per poter migliorare. Mantenimento dello status quo non porta a nessun miglioramento…

Imparare a sentire il compito. Lo scopo finale della profonda pratica è di raggiungere il punto di equilibrio nella nostra pratica dove possiamo sentire gli errori ancora prima di quando arrivano. Per evitarli, devi sentirli prima… E devi essere preoccupato quando li senti. Per questo la profonda pratica richiede molta concentrazione. Concentrazione che poi si trasforma in riconoscimento cosciente dell’errore e lavoro deliberato nell’eliminarlo.

Avete presente quello che gli atleti chiamano “zona”, quando entrano nel flusso e non sbagliano più un colpo, un tiro, una mossa? E non sanno descrivere quello che sentivano in quei momenti? Ecco, quello può essere la descrizione della profonda concentrazione e sensazioni interne quando si esegue il compito in maniera stupefacente per un occhio esterno. E a sentire il compito, ci si può arrivare solo con la profonda pratica, eseguendo in continuazione il ciclo (praticamente il PDCA):

  • scegliere l’obiettivo
  • cercare di raggiungerlo
  • valutare la differenza tra l’obiettivo e di quanto raggiunto
  • ripetere dal primo passo

La prossima settimana vedremo la terza parte del codice del talento: l’ignizione. Adesso vi lascio a sviluppare i vostri piccoli circuiti mentali su questo argomento… 😉

Autore

Ciao, sono Dragan Bosnjak e sono qui per guidarti nella scoperta del mondo di lean thinking!

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