Ma perché dobbiamo sempre protestare?

Max Chichi racconta nel suo blog una bellissima storia dell’IKEA che fa insourcing della produzione di alcuni articoli dalla Cina in Italia, per servire il mercato locale.

IKEA, chiaramente, ha capito che, per servire i clienti in un mercato locale, produrre localmente vuol dire essere più responsivo alle richieste del cliente, non sovrapprodurre, dare al cliente il valore che desidera nella qualità e quantità con cui lo desidera. E ha capito che anche il costo totale della catena di fornitura dalla Cina non è proprio così conveniente come la si vuole far sembrare… Portare dalla Cina container pieni di materiale che non si è sicuri di poter vendere nel mercato locale, aspettando mesi per la fornitura e trasporto via nave, così che magari passano anche le mode del momento, vuol dire consegnare il vantaggio competitivo in mano ai concorrenti locali che producono quello che il cliente vuole in questo momento, in quantità più piccole, nel tempo brevissimo e seguendo la moda del momento. Chi, secondo voi, è a vantaggio, anche se la manodopera costa nettamente di più qui?

Ma come sottolinea Max nel suo articolo, in Italia c’è sempre qualche bastian contrario che non ha capito niente di tutto questo. E protesta dicendo che l’Italia è la Cina dell’Europa. Faccio qualche estratto dell’articolo di Max, dove è sottolineata la protesta di una certa Erminia della Frattina de Il Fatto Quotidiano:

Non è che siamo semplicemente più economici dei cinesi, dove il costo del lavoro negli ultimi tre anni ha fatto un balzo del +20% tanto che le stesse aziende cinesi delocalizzano nelle aree confinanti?

Non è che più che la pregiata artigianalità del Made in Italy, la campagna acquisti fatta da Ikea per cercare nuovi fornitori abbia premiato solo il miglior offerente, cioè quello con i costi di produzione e di manodopera più bassi? La multinazionale svedese (bontà sua) ha scelto 24 nuovi fornitori piemontesi, distretti storici come San Maurizio d’Opaglio o Gozzano, che sono risultati più flessibili (ahia!) rispetto alla lontana Malesia (dove si aggiungono i costi di trasporto). In grado di produrre 30mila rubinetti just in time “rispettando il capitolato e riducendo i costi”.

E’ questo il vero Made in Italy o andrebbe rinnovato? Alcuni di loro ora fanno piccole forniture per l’Ikea. Ma chiediamoci: a che prezzo queste aziendine si mettono a disposizione di un colosso del genere? Lavorando sabato, domenica e festività varie, ignorando gli straordinari, utilizzando dipendenti stagionali nei picchi produttivi e lavoratori interinali che poi vengono lasciati a casa al primo calo degli ordini?

E’ questo il Made in Italy che vogliamo?

Si vede che, quando qualcuno non capisce niente, non capisce proprio niente… E non dovrebbe neanche iniziare discorsi di questo tipo. IKEA sta facendo le cose logiche dal punto di vista dei costi e del lean: avvicina la sua produzione al cliente finale, all’utilizzatore. Al limite prima, quando erano andati in Cina, facevano cose illogiche, si vede che adesso hanno imparato la propria lezione, dopo essersi bruciati parecchio con la promessa del costo bassissimo della Cina. Ma i costi reali sono diversi e sempre a favore di chi produce localmente: pensate ad esempio ad un cliente che vuole acquistare un determinato prodotto oggi e l’azienda gli risponde: non possiamo darglielo, dobbiamo fare un ordine alla nostra produzione in Cina e potremo avere questo prodotto in un tempo indeterminato tra circa sei mesi. Quindi torni tra qualche mese e le daremo il prodotto che desidera. Cosa fa questo cliente? Va dall’artigiano locale e gli dice: Ho bisogno di questo prodotto domani. E l’artigiano glielo fa, per domani. Tutti contenti. Tranne la prima azienda che non venderà mai più quel prodotto a quel cliente, e inoltre quel cliente non ritornerà mai più da questa azienda visto il modo in cui è stato trattato. Andrà sempre dal suo artigiano locale di fiducia. Pura logica del mercato e nessuna matematica avanzata. Ed esattamente quello che fa IKEA con questa mossa.

Ma si vede che qualcuno questa logica non la capisce. L’Italia non potrà mai diventare il paese a basso costo, visto tutte le tasse che dobbiamo pagare e al costo di vita attuale. Non potrà mai costringere le “aziendine” a lavorare il sabato e domenica come in Cina, e nei turni di 16 ore al giorno, proprio perché la nostra legislazione non lo permette. Il Made in Italy può solo essere contento che un colosso di queste dimensioni sia venuto a produrre qui e non è andato in qualche paese vicino dove magari avrebbe pagato meno tasse.

Ma perché dobbiamo sempre protestare per queste cose? Perché non pensiamo mai che qualcuno abbia anche buone intenzioni ed essere contenti che qualcuno venga a produrre in Italia anziché andare in Cina, perché facendo così può essere più competitivo sul mercato locale?

Io rispondo: Sì, è questo il Made in Italy che dobbiamo volere. Perché dell’aria e delle parole a vuoto non si vive. Senza un’infrastruttura industriale e sperando di vivere solo di servizi e senza produzione non si può pensare di mantenere il nostro tenore di vita attuale. Non tutti possiamo essere dei politici e avere milioni di euro a gratis da mettere nelle tasche. Dobbiamo guadagnarci il nostro standard facendo valore per i nostri concittadini e clienti…

Bisogna invece rimboccarsi le maniche e far tornare molte Ikee (anche molte delle nostre aziende che sono scappate dove i costi della manodopera sono inferiori…) sul nostro territorio e ripartire da zero a ricostruire la ricchezza, che adesso vogliamo che ci venga data, ma senza fare niente per meritarcela… Costruirla con valore, velocità, qualità, soddisfazione del cliente. E non sicuramente criticando chi è pronto a farlo.

Autore

Ciao, sono Dragan Bosnjak e sono qui per guidarti nella scoperta del mondo di lean thinking!

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