Cosa è pacemaker?

In termini lean, chiaramente…

Il processo pacemaker, come dice il suo nome, è il singolo processo lungo la linea produttiva che dà il ritmo alla produzione. Non si deve confondere con il collo di bottiglia, che diventa un vincolo in quanto non ha capacità sufficiente per soddisfare la domanda.

Avevo già parlato in passato di heijunka, ossia il punto nella produzione dove viene dato il programma produttivo, e cui scopo è di “tirare” la produzione a monte attraverso i segnali kanban.

Ecco, in sostanza, il processo pacemaker è un processo nel ciclo produttivo dove viene posizionato il tabellone heijunka, dove viene programmata la produzione, il singolo punto nel flusso produttivo che riceve il programma di produzione.

Che caratteristiche ha questa postazione?

L’unica caratteristica fondamentale è che, dopo il pacemaker, e fino all’uscita del prodotto verso il cliente, ci sia il flusso continuo o una sequenza obbligata di produzione e che questa viene sempre rispettata.

Quale sarebbe questa sequenza obbligata? Ad esempio una linea FIFO (first in first out – primo pezzo che entra è anche il primo ad uscire). In assenza di FIFO, il processo pacemaker diventa l’ultimo processo nella sequenza produttiva prima del cliente…

Un’immagine può spiegare meglio questo concetto (immagine tratta da Lean Lexicon):

Quali sono le condizioni che devono essere soddisfatte per poter definire un processo pacemaker?

In sostanza devono essere soddisfatte le seguenti due condizioni:

  • la produzione nel pacemaker dovrebbe essere arrangiata in un flusso continuo. Se il flusso è progettato e realizzato male, sarà difficile implementare un sistema a trazione (pull) livellato e quindi il pacemaker avrà sempre difficoltà nel funzionare
  • la disponibilità operativa del processo pacemaker dovrebbe essere del 75% o oltre, per poter costantemente soddisfare i requisiti di output dal processo

Una volta implementato il pacemaker, in esso si dovrebbero inseguire batch sempre più piccoli e quindi setup più frequenti. Di conseguenza, le persone che vi lavorano andranno ad affrontare problemi più frequenti e sconosciuti prima, e quindi sono richieste azioni correttive molto più frequenti e veloci rispetto alla produzione tradizionale. Pertanto è consigliabile l’applicazione di andon in questo processo per segnalare la necessità di interventi per affrontare questi problemi.

Questo è una spiegazione abbastanza elementare e perciò vi domando se avete qualche cosa di aggiuntivo da chiedere riguardo al pacemaker? Qualche informazione aggiuntiva, che potrei approfondire?

Grazie a MG per aver chiesto questo approfondimento nei Contatti

Autore

Ciao, sono Dragan Bosnjak e sono qui per guidarti nella scoperta del mondo di lean thinking!

4 comments… add one
  • MG Mag 9, 2010, 2:32 pm

    Prima di tutto grazie per questo articolo : )
    inoltre mi chiedevo se avessi qualche esempio pratico per riconoscere il Pacemaker.
    Come si fa a riconoscere il processo che da il ritmo all’ intera linea?
    Inoltre ha senso inserire l heijunka e quindi il piano livellato in un processo 100% manuale?
    Grazie ancora.

    • Dragan Bosnjak Mag 10, 2010, 10:00 am

      Riconoscere il pacemaker? E’ il processo più a valle dopo il quale c’è il flusso continuo verso il cliente, solitamente le operazioni finali di assemblaggio, imballo… Non è importante determinare quale è il processo pacemaker, è importante realizzare il flusso produttivo in modo tale che i prodotti scorrano da una postazione all’altra senza fermarsi o che si fermano con regole ben definite (attraverso il sistema a trazione – pull – e cartellini kanban). Una volta realizzato quello, determinare il processo pacemaker è immediato e ovvio.
      Il heijunka in un processo manuale? Beh, ti dico solo che gran parte dei processi negli assemblaggi finali nella grande Toyota è manuale… Perché chi può migliorare il processo non è un robot, ma un uomo che pensa ed elimina gli sprechi da esso. I robot e macchine automatiche vengono impiegate solo nei processi dove c’è un pericolo di incidente, di sicurezza per le persone o dove il lavoro è molto faticoso (anche qui però si arriva ad automazione dopo aver studiato in dettaglio tutti i particolari del processo, facendolo manualmente…). Per tutto il resto si usano le teste delle persone… Quindi, la manualità del processo, secondo me, è un vantaggio competitivo, se sfruttata in maniera giusta. Ma anche qui ci va di mezzo il discorso di sopra: prima bisogna realizzare il sistema a trazione e, dove possibile, il flusso continuo del prodotto (quindi anche la stabilità ed eliminazione delle variabilità dal processo). Senza di esso, tutto il discorso va a decadere…
      Ti raccomanderei di leggere tre libri della LEI che spiegano in dettaglio tutte le problematiche che tu chiedi: Learning to See, Creating Level Pull e Creating Continuous Flow.

  • MG Nov 4, 2010, 1:11 pm

    A distanza di tempo ritorno su questo tema, dopo aver riflettuto e approfondito il tema.
    Il pacemaker é quel processo, che come dici tu é il piú valle, in cui il prodotto diventa specifico per i clienti ovvero assume le caratteristiche finali richieste dai clienti. Questo specificitá del prodotto avviene negli ultimi steps di processo, se non addirittura solo in sede di imballaggio.
    Per tanto, ma non solo, secondo me é importante saper riconoscere il processo segnapasso anche perché é qui che si concentra lo sforzo di pianificazione (heijunka) dell´intero flusso di valore. Infatti il pacemaker é l´unico processo in cui arrivano le informazioni di pianificazione: prima del pacemaker si implementa un sistema pull e dopo un flusso continuo (unitario o tramite FIFO). Entrambi i sistemi sono autogestiti ovvero non necessitano di ulteriori informazioni perché sono autoregolati.

    Cosa ne pensi?

    ciao e grazie del tuo feedback

    • Dragan Bosnjak Nov 4, 2010, 1:36 pm

      Hai assolutamente ragione ed è la definizione del pacemaker…
      Aggiungerei soltanto che esso è regolato dalla domanda del cliente (takt time) e quindi influenza anche la pianificazione con heijunka…

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